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Disconoscimento di paternità

Lo Studio Legale Cecatiello è molto attento alle problematiche legate alla filiazione.

Con riferimento al disconoscimento di paternità l’ordinamento italiano prevede due possibilità la prima se si vuole chiedere che venga disconosciuta la paternità di un figlio nato in costanza di matrimonio la seconda in caso si chieda il disconoscimento di un figlio nato da una coppia di fatto.
L’azione di disconoscimento di paternità è il procedimento che deve proporre chi intenda far accertare e dichiarare la mancanza del rapporto biologico tra un padre e un figlio nato durante il matrimonio.
Vi è una presunzione di legge che il marito della madre sia anche il padre del bambino si parla di «presunzione» di paternità quando la nascita è avvenuta almeno 180 giorni dopo il matrimonio e non oltre trecento giorni dall’annullamento o dal divorzio. La presunzione di paternità termina se sono decorsi trecento giorni dalla separazione o dal provvedimento con cui il giudice autorizza i coniugi a vivere separatamente.
È possibile proporre l’azione di disconoscimento solo in tre ipotesi tassative:

1) mancata convivenza dei coniugi nel periodo compreso tra il trecentesimo ed il centottantesimo giorno prima del parto;

2) se, in questo stesso lasso di tempo, l’uomo era affetto da impotenza, anche solo di generare (come ad esempio ad una malattia poi curata);

3) se la moglie ha avuto una relazione extraconiugale e ha nascosto al marito la gravidanza e la nascita del figlio.

Questo vuol dire che un marito non può chiedere, ad esempio, di disconoscere un figlio che ha, a suo tempo, voluto riconoscere pur nella consapevolezza che non fosse proprio.
L’azione può essere proposta, con l’assistenza di un avvocato, solo da alcuni soggetti ed entro precisi limiti di tempo.
La moglie entro 6 mesi dal parto o da quando ha saputo dell’impotenza a generare del marito, al momento del concepimento; il marito entro 1 anno dal giorno della nascita, se egli si trovava nel luogo in cui è nato il figlio e prova di aver ignorato la propria impotenza a generare, o dal giorno in cui ha avuto conoscenza dell’adulterio della moglie o dal giorno del suo ritorno nella residenza familiare, se non si trovava nel luogo in cui è nato il figlio. Se, però, egli riesce a provare di non aver saputo della nascita in tali giorni, il termine decorre dal giorno in cui ne ha avuto notizia. In ogni caso, decorsi 5 anni dalla nascita del figlio, l’azione non può più essere proposta. Il figlio maggiorenne o un curatore speciale nominato dal giudice su istanza del figlio che ha compiuto i 16 anni o del pubblico ministero, se di età inferiore. Il limite dei cinque anni, tuttavia, non opera nei confronti del figlio che potrà, infatti, far valere sempre l’azione; i discendenti o gli ascendenti nel caso di morte del presunto padre o della madre. Il termine, in tal caso, decorrerà dalla morte del presunto genitore, dalla nascita del figlio postumo o dal raggiungimento della maggiore età di ciascun discendente; il coniuge o i discendenti del figlio, entro un anno dalla sua morte o da quando siano divenuti maggiorenni.

Le condizioni cambiano in modo sensibile quando si vuole contestare il rapporto biologico tra un padre e un figlio nato fuori dal matrimonio.

In questa ipotesi, infatti, non ricorre alcuna presunzione di paternità, neppure se si tratta di una stabile convivenza. Andrà quindi promossa l’azione di impugnativa di riconoscimento per difetto di veridicità.

Azione di impugnativa di riconoscimento per difetto di veridicità.
L’ azione può essere promossa sul semplice presupposto del difetto di rapporto biologico: dall’autore del riconoscimento (anche effettuato nella consapevolezza che il figlio non fosse proprio), entro un anno dal giorno dell’annotazione del riconoscimento sull’atto di nascita; se, però, il riconoscimento è stato estorto con violenza, essa va proposta entro un anno da quando tale violenza è cessata; se prova di non sapere della propria impotenza a generare al tempo del concepimento, l’azione va proposta entro 1 anno da quando ne è venuto a conoscenza.
Nello stesso termine, la madre che ha effettuato il riconoscimento può provare di aver ignorato l’impotenza del presunto padre.

L’azione può essere proposta anche da chiunque vi abbia un interesse come per esempio, il coniuge di chi ha effettuato il falso riconoscimento. L’interesse a promuoverla non deve essere necessariamente giuridico ma anche di natura morale. In ogni caso, l’azione va proposta non oltre cinque anni dall’annotazione del riconoscimento a margine dell’atto di nascita;
l’Azione è proponibile anche dal figlio maggiorenne o da un curatore speciale nominato dal giudice , su richiesta del figlio di almeno quattordici anni o del pubblico ministero o dell’altro genitore, se il figlio è di età inferiore.
La prova della inesistenza del legame biologico tra padre e figlio può essere data anche attraverso dichiarazioni testimoniali.

La prova attualmente più usata è quella tramite indagine del Dna che permette di accertare o di escludere la paternità.

L’accoglimento di una delle due azioni comporta l’estinzione del rapporto di filiazione paterna, inclusi gli effetti avuti sul nome, sulla cittadinanza e sull’autorità parentale.

Va detto, tuttavia, che la perdita del cognome non è automatica perché il tribunale può autorizzare la conservazione del cognome attribuito al figlio alla nascita, se questo sia «elemento connotativo e distintivo della sua identità personale».

 

 

Armando Cecatiello, Avvocato Milano e Roma.
Studio Legale Cecatiello, specializzato in diritto di famiglia, avvocato matrimonialista, avvocato divorzista, mantenimento/affidamento minori.