Definizione alternativa del procedimento penale: Messa alla prova.
Modalità alternativa di definizione del procedimento penale, la sospensione del processo con messa alla prova, attivabile su istanza di parte fin dalla fase delle indagini preliminari, conduce, laddove il periodo stabilito dai Giudici si concluda con esito positivo, ad una pronuncia di proscioglimento per estinzione del reato (ex art. 425 c.p.p. e art. 43 co 1 D.P.R. 448/88).
Lo Stato rinuncia quindi alla sua pretesa punitiva per l’illecito, chiedendo in cambio al minore non solo di tenersi dal commettere ulteriori reati, ma anche l’impegno di aderire ad un programma di risocializzazione e rieducazione.
Essa trova, dunque, il suo fondamento negli Artt. 31 e 27 co.3 della Costituzione, che impongo di proteggere e rieducare i minori ovvero nelle Regole di Pechino, che agli artt. 11 e 19 incentivano l’applicazione di tale istituto (cd. probation)
Istituto dalla duplice natura giuridica: natura sostanziale, quale causa di estinzione del reato, natura processuale, quale modalità di sospensione del procedimento (<<il Giudice, sentite le parti, può disporre la sospensione del processo quando ritiene di dover valutare la personalità del minorenne all’esito della prova disposta a norma del comma 2>>), trae origine dalla probativa anglosassone.
La sua prima applicazione risale nel diciannovesimo secolo quando a Boston il Sig. John Augustus (professione calzolaio) si offri di pagare una cauzione per un soggetto alcolizzato convinto di poter intervenire sul suo recupero.
Il soggetto, su istanza del Giudice, venne di fatto rilasciato, e condannato alla pena simbolica un un cent.
A tale esperimento ne seguirono diversi.
Venne cosi a crearsi un nuovo sistema di pronazione che si caratterizzava non solo della sospensione della pronuncia di condanna ad una pena detentiva, ma dell’imposizione di regole di condotta (la cui inosservanza generava di fatto la revoca della sospensione e una pronuncia di condanna).
Il soggetto veniva affidato ad una persona che si assumeva di fatto il compito di controllarlo e guidarlo nel percorso d recupero.
La probation così strutturata venne poi ufficialmente istituita per i soli imputati maggiorenni negli stati uniti nel 1954.
L’istituto aveva il chiaro intento di evitare la carcerazione di soggetti resisi autori di reati minori e non connaturati da eccessivo disvalore sociale.
La probation trovo quindi applicazione anche in Europa, seppur con qualche divergenza.
Ad esempio la versione franco-belga prevedeva una sospensione della pena, quindi in una fase esecutivo, non del procedimentale, per l’imputato che ne facesse richiesta.
Una misura successiva volta ad evitare la carcerazione del soggetto.
Inevitabilmente entrambe le versioni risultavano valide: basti pensare che sussistono ancora entrambe all’interno del nostro sistema giudiziario (si veda l’art.656 c.p.p. sulla sospensione dell’esecuzione della pena) .
L’istituto della messa viene introdotto dal Legislatore con il D.P.R. 448/1988 (codice penale sul rito minorile) agli arti. 28-29
Obiettivi primari: la fuoriuscita del minore dal circuito penale nel minor tempo possibile, la tempestività dell’intervento dato le caratteristiche dell’interlocutore (soggetto in piena formazione), diversetion, ovvero l’analisi della personalità del minore ed interventi personalizzati sulle caratteristiche del reo, ed ovviamente il recupero dello stesso.
Sta di fatto che l’intero testo di legge puntava l’attenzione sul soggetto al fine di offrire, da parte dello Stato, il miglior supporto per una pronta risocializzazione dello stesso.
Lo stesso programma “trattamentale”, al quale il minore sarà sottoposto, viene elaborato da un equipe di assistenti sociali (ministeriali e territoriali) e discusso nel contraddittorio delle parti.
Tale progetto non solo deve tener conto delle propensioni, delle caratteristiche e della attitudini del soggetto, ma anche dell’ambiente familiare e del territorio natio dello stesso.
Lo spirito di risocializzazione impone anche che lo stesso venga espletato in prossimità del luogo di nascita dello stesso, prevedendo l’allontanamento e/o l’eventuale collocamento in comunità, anche fuor regione, solo in casi limite.
Una volta terminato il periodo di prova il minore deve essere pronto a rientrare nella sua quotidianità, con un bagaglio di esperienze e competenze, necessario a non delinquere.
Tale ratio implica sul piano processuale l’assenza di preclusioni, sia soggettive quindi inerenti la personalità del minore, sia oggettive circa la tipologia di reato ascritto, nonché procedimenti, potente la stessa essere richiesta dal minore in qualsiasi fase processuale.
La Corte Costituzionale, con la sentenza n.125)1995, dichiarava altresì illegittimo l’art. 28 co 4 nella parte in cui vietava la sospensione del processo nei casi in cui l’imputato avesse già avanzato richiesta di rito abbreviato o immediato.
La Corte affermava “il Legislatore non ha condizionato il provvedimento de quo alla prestazione del consenso dal parte del monte, rimettendo al Giudice la decisione circa l’opportunità di sospendere il processo”.
A seguito di questa fondamentale sentenza l’imputato può essere ammesso alla prova, anche dopo aver richiesto l’applicazione di uno dei due riti premiali, ovvero al termine di quest’ultimi.
Discussa in materia la possibilità di richiedere per la prima volta l’istituto in fase di impugnazione.
Ai sensi del disposto dell’art. 28 D.P.R. 448/88 apparirebbe impossibile muovere tale richiesta ex novo in appello, potendo la Corte intervenire sul punto solo nell’esercizio del controllo della decisione di primo grado, sempre che sia stata inserita tra i motivi di appello.
La richiesta può provenire anche dall’indagato, siamo dunque nella fase delle indagini preliminari, su istanza di parte, posta prima al vaglio del pubblico ministero e poi del Giudice competente.
E’ dunque necessario che l’attore principale della messa alla prova, ovvero il ragazzo, aderisca a al progetto e dichiari la propria volontà, assumendo tutte le responsabilità collegate all’impegno.
Discussa è anche la questione se sia necessaria o meno la confessione da parte del reo circa il fatto reato.
E’ prassi diffusa, da parte dei Tribunali Minorili, accettare richieste ex art. 28, solo a seguito di una piena e completa confessione sulla vicenda (la confessione inoltre preclude, in caso di esito negativo della prova e di ripresa del processo, una definizione assolutoria, pur sempre possibile).
Naturalmente non è pensabile che un soggetto che fa richiesta di messa alla prova sia del tutto estraneo e quindi ipotizzabile che il fumus commessi delicti sussista.
Sta di fatto che in situazioni borderline, dove non sussiste una responsabilità piena (pensiamo al soggetto che interviene in una rissa e per sedare i soggetti coinvolti e involontariamente cagiona delle lesioni lievi, magari a seguito di uno spintone) ove sussiste una responsabilità, ma sicuramente affievolita rispetto all’imputazione formulata, si finisce per non concedere tale beneficio se non previa confessione e ammissione di colpe.
Tutto ciò non solo svilisce il diritto di difesa del minore, ma di fatto svilisce l’intento educativo sotteso all’istituto: il minore non accetterà di assumersi le proprie responsabilità perché consapevole del disvalore delle sue azioni, ma solo in maniera del tutto strumentale per accedere al rito e fuoriuscire nel modo più celere ed indolore dal processo penale)
La stessa Corte di Cassazione, nel chiarire i numerosi dubbi interpretativi incorsi, ha chiarito, con estrema precisione, che non è necessaria una confessione da parte del minore, ma solo che lo stesso abbia intrapreso un processo di resipiscenza (revisione critica del suo agire).
Qualora dunque sussistano tutti i presupposti il Giudice, dispone con ordinanza la sospensione del processo per una durata congrua al titolo di reato.
Nella motivazione del provvedimento di sospensione il giudizio prognostico, è di fondamentale importanza.
La Corte di Cassazione infatti afferma “Tale giudizio non può che essere tratto dal tipo di reato commesso, dalle modalità di attuazione, da motivi per delinquere, dalla personalità del minore, nel senso che il reato non costituisca una scelta di vita, ma la condotta deviante sia la manifestazione di un disagio temporaneo dell’adolescente, il quale abbia attitudine a dimostrare la sua capacità di impegnarsi positivamente in un progetto di vita”
La sospensione non potrà comunque essere superiore a tre anni (termine massimo in caso di reati per i quali e prevista la pena dell’ergastolo ovvero la reclusione non superiore nel massimo a 12 anni).
Con la stessa ordinanza il Giudice affida il minore ai servi sociali designando per la supervisione un giudice non togato facente parte del collegio.
Da questo momento spetta ai servizi monitorare l’andamento della messa alla prova ed informare il tribunale di qualsiasi variazione della stessa.
La Corte, in diverse pronunce, ha tenuto a sottolineare che all’interno del progetto devono essere previste attività riparatorie nei confronti della vittima, anche di solo contenuto morale.
Tale orientamento risponde alla necessità di praticare la mediazione penale prevista dalla Direttiva C.E.E. del 15 settembre 1999.
In caso di dubbi circa la tenuta del ragazzo, eventuali mancanze dello stesso è potere del Servizio richiedere la fissazione di un udienza di verifica.
In caso di eventuali trasgressioni al programma, oppure di commissione di altro delitto non colposo, di un reato della stessa indole, il giudice revoca l’ordinanza e procede al giudizio.
Nel caso in cui, invece, il programma alla sua conclusone sia stato rispettato, il Giudice sentite le parti dichiara estinto il reato per esito positivo della stessa.
In particolari casi, posta al vaglio l’ambiente familiare, la personalità del minore o l’ambiente di provenienza dello stesso, la messa alla prova può essere espletata in strutture comunitarie.
Naturalmente il soggetto ammesso al beneficio resta di fatto libero (non in misura cautelare) seppur collocato in comunità e ad esso sarà richiesto il rispetto delle regole comunitarie.
Secondo un interpretazione restrittiva veniva esclusa la possibilità di sottoporre alla prova il soggetto divenuto maggiorenne, ma minore al compimento del reato.
Su istanza del P.M. del Tribunale di Cagliari, la Cassazione con la fondamentale sentenza n.1405/1992 chiarì: “la competenza del tribunale per i Minorenni è esclusiva e generale per tutti i minori, al momento del reato, per cui non ha rilievo il successivo raggiungimento della maggiore età. Tutte le norme del D.P.R. 448/88 qualificano sempre l’imputato come minorenne sul presupposto che, anche quando l’imputato sia adulto, il solo momento rilevante per l’attribuzione della competenza al Tribunale per i Minorenni è l’età del soggetto al momento del commesso reato”.
Particolarmente interessante è anche il caso nel quale il minore abbia commesso altri reati, precedenti a quello/i per cui ex art. 28 è in prova, e siano quest’ultimi legati dal vincolo della continuazione. In questo caso sarà possibile estendere il periodo di prova, in corso di un processo, senza necessità di disporre una nuova e distinta prova.
La legge 67/2014, con l’art. 3 introduceva nel codice penale gli arti 168 bis e 168 coniando l’istituto ex art. 28 del rito minorile anche per gli imputati maggiorenni.
Sta di fatto che sebbene la finalità sia similare da un punto di vista processuale: sospensione del processo (anche qui il soggetto è sottoposti a un programma di trattamento elaborato dall’Ufficio Esecuzione Penale Esterna (cd. U.E.P.E) e approvato dal giudice) ed estinzione del reato in caso di esito positivo della prova sussistono delle divergenze tra i due istituti.
La messa alla prova, nel rito ordinario, può essere concessa una sola volta a colore che non siano stati dichiarati delinquenti professor, abituali io per tendenza e non abbiamo commesso reati gravi previsti all’art. 550 co 2 c.p.p. ovvero aventi pena edittale nel massimo superiore ai 4 anni ( non assumendo alcuna rilevanza le circostanze attenuanti del reato).
Tuttavia la recidiva non viene considerata un testuale limite soggettivo all’operatività dell’istituto.
Una finalità di recupero sociale della messa alla prova potrebbe, ad esempio, addirittura orientare verso un’applicazione privilegiata per il delinquente recidivo, il quale mostra sicuramente maggiore necessità di un trattamento “alternativo” e differenziato.
LʼU.E.P.E., dopo lʼindagine socio-familiare redige il progetto, acquisendo il consenso dellʼimputato e lʼadesione dellʼente o del soggetto presso il quale lʼimputato sarà chiamato a svolgere il programma di trattamento.
Il programma, la cui durata è fissata dal giudice nellʼarco del limite massimo previsto per legge, può implicare la prestazione di condotte volte allʼeliminazione delle conseguenze dannose o pericolose derivanti dal reato, nonché ove possibile il risarcimento del danno dallo stesso cagionato, attività di volontariato di rilievo sociale e lʼosservanza di prescrizioni comportamentali. La messa alla prova è sempre subordinata inoltre allo svolgimento di lavori di pubblica utilità (art. 168 bis c.p.)
In caso di rigetto da parte del giudice sull’istanza di messa alla prova, non può, contrariamente a quanto avviene nel rito minorile, essere presentato ricorso per cassazione.
Unica eccezione il caso in cui, in fase di indagini, con l’opposizione al decreto penale di condanna sia stata chiesta la messa alla prova e questa venga rigettata: in tal caso sarà impugnabile innanzi agli Ermellini, essendo espressamente previsto dall’art. 464 bis co 2 c.p.p.
Per quanto riguarda invece il rito minorile n ordine alla legittimazione soggettiva, il co 3 dell’art. 28 D.P.R. 448/88 si limita a provvedere che contro l’ordinanza possono ricorrere per cassazione il pubblico ministero, l’imputato ed il suo difensore “il giudizio della Cassazione sull’ordinanza sospensiva ex art. 28 ha ad oggetto innanzitutto i vizi del procedimento i dei presupposti, tra cui si possono annoverare: la manca audizione delle parti, la violazione del contraddittorio, l’omissione del progetto di intervento, la non adesione del minore al citato progetto, la non conformità del progetto di messa alla prova al contenuto dell’ordinanza che la dispone, i vizi riguardanti la motivazione del provvedimento e, in particolare, l’adeguata e completezza della stessa, anche in ordine sull’eventuale omissione dell’indagine sulla personalità del minore, ex art. 9 D.P.R. 448/88, ai fini dell’applicazione della misura”
Il processo rimane sospeso ex Artt. 588 c.p. fino alla decisione della Corte di Cassazione.
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