Avvocato stalking Milano: avvocato penalista per stalking, anche difesa di minori nel processo penale minorile.
Il delitto di atti persecutori ex art. 612 bis c.p. (cd. Stalking)
Il primo comma dell’art. 612 bis c.p. stabilisce che “salvo che il fatto costituisca più grave reato, è punito con la reclusione da sei mesi a cinque anni chiunque, con condotte reiterate, minaccia o molestia taluno in modo da cagionare un perdurante e grave stato d’ansia o di paura ovvero da ingenerare il fondato timore per l’incolumità propria o di un prossimo congiunto o di persona al medesimo legata da relazione affettiva ovvero da costringere lo stesso ad alterare le proprie abitudini di vita”
Con tale nuova forma incriminatrice, il Legislatore, nel 2009, ha inteso attribuire rilevanza penale autonoma a quei comportamenti reiterati per mezzo dei quali l’aggressore realizza un’effettiva “intrusione” indesiderata, ovvero incisiva, nella sfera privata della vittima, tale da recarle alla stessa un considerevole turbamento.
Comunemente rientrano nel cd. reato di stalking condotte estremamente eterogenee: si va dalle comunicazioni indesiderate, di vario tipo, destinate direttamente alla vittima o a persone del suo contesto familiare, lavorativo etc.; agli incontri, frutto di appostamenti o pedinamenti ovvero qualsivoglia comportamento ritenuto dalla vittima “molesto” e lesivo della sua libertà personale.
Si badi, tali possibili manifestazioni sono tutte accomunate dalla mancanza di violenza sulla vittima.
Va comunque evidenziato che sebbene non violente tali condotte spesso precedono, cronologicamente, il realizzarsi di una vera e propria aggressione, corrispondente in termini penalistici, nella maggior parte dei casi, nei reati di percosse, violenza privata, lesioni personali ovvero violenza sessuale.
L’art. 612 bis c.p. è stato inserito nel codice penale dall’art. 7 del d.l. 23 febbraio 2009 n.11, convertito con modificazioni dalla legge 23 aprile 2009 n.38.
Anche l’originario limite edittale massimo è stato aumentato da quattro a cinque anni di reclusione dal d.l. n. 78/2013 convertito con modif. dalla legge 94 del 2013.
Come abbiamo anticipato la fattispecie criminosa del 2009, nelle intenzioni del Legislatore, era volta a colpire i comportamenti lesivi della libertà morale della persona offesa ovvero alla libertà di autodeterminarsi del soggetto.
Tali condotte si arricchiscono poi di un ulteriore disvalore, per cosi dire potenziale, per il loro carattere reiterate; esse sono quindi identificabili come atti prodromici di un processo scalare, suscettibile di sfociare in manifestazioni di violenza ed in casi estremi in episodi omicidiari.
Verosimilmente la volontà sottesa alla stesura di tale imputazione è proprio quella preventiva.
Per grossa parte della dottrina si è trattato di una scelta meramente simbolica, volta, cioè ad aggregare consenso politico, dimostrando una risposta “forte” dell’ordinamento ad un fenomeno socialmente allarmante.
Va tuttavia evidenziato che il preteso “ vuoto di tutele” che l’art. 612 bis sarebbe andato a colmare risultava già “coperto” quanto meno dalle fattispecie di cui agli artt. 612 c.p. (minaccia) e 660 c.p. (molestia o disturbo della persona) ed in taluni casi dalla violenza privata ex art. 610 c.p.
Sempre in ottica di prevenzione, soprattutto degli esiti violenti in cui esso potrebbe sfociare, vengono più opportunamente in rilievo gli strumenti introdotti o potenziati nel 2009 ovvero: l’ammonimento del questore (art. 8 d.l. n. 11/2009); il divieto di avvicinarsi ai luoghi frequentati dalla vittima ( art. 9 d.l. n. 11/2009); l’ordine di protezione del giudice civile (ampliato fino ad un anno dall’art. 10 d.l. 11/2009).
In via solo apparentemente incidentale va poi ricordato il cd. decreto sicurezza che ha esteso all’ipotesi di atti persecutori, nonché di maltrattamenti in famiglia, l’impiego del braccialetto elettronico, ai fini del controllo dell’effettivo allontanamento dalla casa familiare del soggetto ( art. 16 d.l. 4 ottobre 2018 n. 113).
Con il passare degli anni, oltre ad una novellazione legislativa, sono comunque divenuti irrinunciabili anche gli interventi nel contesto di strategie di carattere politico sociale, le campagne di educazione e sensibilizzazione, l’istituzione di centri di aiuto e sostegno della vittima, così come di ascolto ovvero assistenza socio/sanitaria ai potenziali autori.
Si tratta di misure caldamente caldeggiate dalla Convenzione di Istanbul del 2011 contro la violenza sulle donne e la violenza domestica.
Vale anche la pena ricordare che essa ricomprende lo stalking tra i comportamenti per i quali gli Stati aderenti hanno facoltà di optare per sanzioni non penali, in deroga al divieto generale di apporre riserve al trattato, adottando dichiarazioni che escludono l’applicazione o consentono un’attuazione limitata delle sue disposizioni (art. 78 della Convenzione)
Di sicuro problematica risoluzione appare la questione circa l’identificazione, in concreto, della condotta incriminata, che come già detto consiste nel minacciare o molestare reiteratamente taluno. Ebbene la nozione di minaccia, ricavabile dall’interpretazione dell’art. 612 c.p. è comunemente riferita alla prospettazione di un male ingiusto dipendente dall’agente mentre rispetto alla possibilità di far riferimento al significato della condotta molesta nell’esperienza applicativa dell’art. 660 c.p. va evidenziato che, mentre in quest’ultima fattispecie la molestia figura come evento, nell’art. 612 bis essa costituisce una delle due condotte tipiche considerate in alternativa. Tuttavia, si tratta di un comportamento che non può essere scisso dall’effetto prodotto sulla vittima, comunque fortemente indeterminato.
Inoltre, è stata messa in dubbio la stessa qualificazione del reato come reato di evento o di mera condotta, ovvero di pericolo, dal momento che, secondo una lettura sistematica della norma le condotte di molestie e minacce devono essere realizzate in modo tale da – alternativamente- cagionare un perdurante e grave stato d’ansia o di paura; ingenerare il fondato timore per l’incolumità fisica propria o di un prossimo congiunto o di persona al medesimo legata da relazione affettiva ovvero costringere lo stesso ad alterare le proprie abitudini di vita.
La formula impiegata, di per sé, non chiarisce se le conseguenze indicate devono effettivamente verificarsi o sia sufficiente la mera idoneità delle condotte poste in essere dal cd. Stalker a produrle.
È stata la prassi giurisprudenziale a richiedere la realizzazione di uno dei tre eventi indicati dalla norma.
Di altri profili, come per la reiterazione delle condotte, si è occupata la Corte che ha chiarito consistere in almeno due condotte di minacce o molestia, che siano causa di uno dei tre eventi alternativi della fattispecie; senza, però, sciogliere il dubbio sul lasso di tempo entro il quale tali condotte debbano ricorrere.
Il “perdurante e grave stato di ansia e di paura” e “il fondato timore per l’incolumità” a parere della Corte, possono verificarsi anche in assenza di una patologia medicalmente accertabile e dovranno risultare “dall’osservazione di segni ed indizi comportamentali che denotino un’apprezzabile destabilizzazione della serenità e dell’equilibrio psicologico della vittima” con esclusione della rilevanza penale di ansie di “scarso momento” ovvero di “timori del tutto immaginari o fantasiosi della vittima”.
Meritano qualche considerazione anche le circostanze aggravanti speciali previste al secondo ed al terzo comma dell’art. 612 bis c.p.
Il secondo comma originariamente prevedeva l’aumento della pena nel caso in cui il fatto fosse stato commesso dal coniuge legalmente separato o divorziato o da persona che fosse stata legata, in passato, da relazione affettiva alla persona offesa. Ne rimanevano di fatto esclusi i fatti commessi nell’ambito di rapporti coniugali ovvero sentimentali ancora in corso.
Con il d.l. 14 agosto 2013 n.93, convertito in l. 15 ottobre 2013 n.119, conosciuta ai più come legge sul femminicidio, l’aggravante è stata estesa anche a queste ultime ipotesi, destinata quindi ad operare anche se “il fatto è commesso dal coniuge”.
Il risultato appare tuttavia disarmonico e potenzialmente in grado di creare non poche difficoltà applicative della norma in relazione a quella sui maltrattamenti in famiglia (art. 572 c.p.), abbracciando le stesse fattispecie del tutto simili.
La riforma del 2013 ha altresì ampliato il secondo comma dell’art. 612 bis con la previsione del cd. cyberstalking ovvero il fatto illecito commesso mediante strumenti informatici o telematici.
Tale scelta di punire con maggiore severità tale condotte potrebbe essere rintracciata considerando la possibilità di una maggiore diffusione delle minacce e/o molestie e dalla facilità di raggiungere la vittima designata.
Il terzo comma invece dispone “la pena è aumentata fino alla metà se il fatto è commesso a danno di un minore, di una donna in stato di gravidanza o di una persona con disabilità di cui all’art. 3 della legge 5 febbraio 1992 n.104 ovvero con armi o da persona travisata”. Va ricordato che un’altra aggravante ad effetto comune opera, ai sensi dell’art. 8 del d.l. n. 11/2009 se il fatto è commesso da soggetto già ammonito.
Circa la procedibilità tale reato è punito a querela della persona offesa, da proporre nel termine di sei mesi, salva la procedibilità di ufficio se il fatto è commesso nei confronti di un minore o di una persona con disabilità di cui all’art. 3 della L. 5 febbraio 1992 n.104, nonché quando il fatto è connesso con altro delitto per il quale si deve procedere di ufficio.
Il d.l. n.93/2013, già richiamato diverse volte, ha introdotto anche l’irrevocabilità della querela nel caso di stalking commesso mediante minacce reiterate nei modi di cui al comma secondo dell’art. 612 bis c.p.
Va segnalata, altresì, l’impossibilità per l’autore di addivenire ad una pronuncia assolutiva ex art. 131 bis c.p.p. ovvero per particolare tenuità del fatto dal momento che, come già chiarito dalla Corte di Cassazione con sent. 14845/2017, tale causa di esclusione della punibilità non può essere applicata ai reati integrati da condotte plurime, abituali e reiterati, tra i quali rientra senza ombra di dubbio quello ex art. 612 bis c.p.
In ultima battuta richiamiamo la sentenza della Corte di Cassazione, sezione quinta, sentenza del 11 giugno 2018 n. 26595, che ha fornito un importante spunto di riflessione chiarendo la relazione che sussiste tra gli atti di bullismo e lo stalking, confermando la condanna di due minori che per tutto l’anno scolastico avevano vessato un compagno di classe, producendo nella vittima un tale stato d’ansia e paura per la propria incolumità fisica, da costringerlo ad interrompere la frequenza scolastica.
Nella vicenda, il Tribunale per i minorenni di Catania prima e poi la Corte di Appello territoriale avevano condannato i due autori in relazione ai reati di lesioni personali aggravate, percosse ed atti persecutori, interpretazione quest’ultima ritenuta del tutto condivisibile dagli Ermellini, che hanno sottolineato come la pluralità delle condotte vessatorie avrebbero determinato un’evidente alterazione delle condizioni di vita del minore, integrando a pieno la fattispecie incriminatrice di cui all’art. 612 bis c.p.
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